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Personaggi citati

Alberto della Scala
(tale) Pg. XVIII,121

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Alberto della Scala, signore di Verona dal 1279 e rappresentante di prestigio del ghibellinismo veneto, nel 1300 "ha già l'un piè dentro la fossa": morirà, infatti, il 10 settembre dell'anno successivo lasciando ai figli legittimi, Bartolomeo, Alboino e Cangrande, la signoria ed al figlio naturale Giuseppe la carica di abate di S. Zeno.

Di questa ultima decisione, imposta con la forza, Dante afferma che Alberto avrà da pentirsi:

"... tosto piangerà quel monastero,
e tristo fia d'avere avuta possa

(si rattristerà di aver esercitato il suo potere)"

Giuseppe, infatti, fisicamente deforme, dimostrerà di esserlo ancor più sul piano morale.

Come queste affermazioni possano conciliarsi con le alte lodi che, soprattutto di Cangrande e Bartolomeo ("'l gran Lombardo"), Dante esprime altrove, è possibile spiegare solo con la strenua indipendenza spirituale, che il poeta mantenne anche verso i benefattori nel tempo dell'esilio, e con la considerazione che la condanna di Giuseppe si appunta sulla indebita ingerenza del potere politico nella gerarchia della chiesa.
Con Cangrande, invece, la signoria dei Della Scala visse il periodo di maggior splendore, in quanto estese il suo controllo su buona parte del Veneto e fino a Brescia, Lucca, Parma. Cangrande acquisì, inoltre, il titolo di vicario imperiale di Enrico (Arrigo) VII.