Torna all'home page

 

Argomento del Canto XIII

testo


menu principale


Guadato il fiume Flegetonte, Dante e Virgilio si incamminano in un bosco buio: non ci sono sentieri e gli alberi hanno rami nodosi e ritorti fra cui le Arpie fanno il nido, lanciando strani lamenti.

Virgilio spiega che sono entrati nel secondo girone del settimo cerchio ed invita Dante a spezzare da uno degli alberi un ramoscello, da cui escono lamenti e sangue: è Pier della Vigna, lo stimato ministro di Federico II.


Piero spiega come i suicidi si trasformino in piante, scagliati a caso come semi, dopo il giudizio di Minosse, nella selva del settimo cerchio. Le Arpie tormentano i dannati nutrendosi delle foglie ed aprendo, così, ferite nel tronco da cui escono gemiti e sangue.
Rispondendo ancora alle domande, Piero spiega come dopo il Giudizio Universale anche i suicidi riprenderanno il loro corpo, ma invece di rivestirlo lo appenderanno ai rami del proprio albero, perchè "non è giusto aver ciò ch'om si toglie" (Inf. XIII, 105): proprio l'impossibilità di riprendere il proprio corpo, a differenza di tutti gli altri, dannati e beati, costituirà l'aggravarsi della pena dei suicidi.
Mentre ancora stanno dialogando con Pier della Vigna i due poeti sono sorpresi da un violento rumore di corsa e latrati di cani. Irrompono, così, davanti ai loro occhi due scialacquatori, Lano da Siena e Jacopo da Santo Andrea, condannati a correre nudi nella selva dei suicidi inseguiti da cagne nere e fameliche. Nel fare questo gli scialacquatori graffiano se stessi e spezzano i rami delle piante, provocando sofferenza ai suicidi. Proprio uno dei cespugli, travolto dalla corsa di Jacopo da Santo Andrea, si rivela essere un fiorentino suicida nella propria casa.