Torna all'home page

 

Personaggi citati

Oreste e Pilade
Pg. XIII, 32-33

menu dei personaggi citati
menu principale


Oreste era il figlio di Agamennone, re di Micene, e di Clitennestra.
La sorella Elettra, dopo l'assassinio del padre ad opera della sua stessa sposa e dell'amante di lei, Egisto, lo affidò, ancora bambino, allo zio Strofio, re della Focide, che lo allevò insieme a suo figlio Pilade, divenuto poi il compagno inseparabile di ogni impresa.

Fattosi adulto, Oreste tornò a Micene con l'amico Pilade per vendicare la morte del padre, ma scoperta la congiura con la quale era riuscito ad uccidere sia la madre Clitennestra che Egisto, venne condannato a morte a sua volta.
Pilade allora, per salvare la vita dell'amico, assunse la sua identità, iniziando così una nobile gara, che divenne proverbiale come la loro amicizia.
Oreste, perseguitato dalle Erinni materne, fu costretto a recarsi ad Atene per ottenere la purificazione dall'Areopago, grazie all'intercessione di Atena.
Recatosi, poi, con Pilade in Tauride per portare ad Atena la statua di Artemide che era lì venerata, vi incontrò la sorella Ifigenia. Ella salvò i due amici dal sacrificio umano cui erano destinati gli stranieri e fece ritorno con loro in Grecia, dove Pilade sposò Elettra.

Il mito greco è ricordato in Ovidio (Pont. III II 69) e in Valerio Massimo (IV 7), ma la fonte di Dante per l'episodio della nobile gara di solidarietà fra i due amici è Cicerone, che ricorda, nel "De Amicitia" (VII 24), come il teatro risonasse di applausi durante la rappresentazione di una tragedia di Pacuvio, ispirata a questo episodio del mito.
Nel "De Finibus" (V XXII 63) di Cicerone è scritta la frase, "Ego sum Orestes", che in Dante costituisce l'esempio di carità gridato dalle voci nell'aria della seconda Cornice.