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SALOMONE (quinta luce) Pd. X, 109
Cielo IV - Sole - Spiriti Sapienti - Prima ghirlanda

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Salomone (sec. X a.C.), figlio di Davide e Betsabea, fu il terzo re d'Israele: il suo nome significa "il pacifico", "il felice", ed egli lo fu davvero.

Le vicende del suo regno sono narrate nel primo e secondo Libro dei Re.
Quando nei suoi ultimi anni di vita Davide scelse come suo successore al trono Salomone, ci furono vari tentativi di rivolta, il più grave dei quali fu l'usurpazione del trono tentata da un altro dei figli di Davide, Adonia, con l'appoggio del potente generale Joab.


Pur essendosi dissolto il partito fedele ad Adonia, Salomone trovò presto occasione di ordinare l'uccisione del fratello ed in seguito anche del generale ribelle.
Salito al trono, Salomone si impegnò in ripetuti scontri militari con le tribù che premevano ai confini del regno di Israele ed intensificò la rete commerciale, stringendo accordi con i vicini più potenti ed aggiungendo al numero delle sue mogli la figlia del faraone d'Egitto.

La realizzazione del sogno di suo padre, la costruzione di un grande tempio a Gerusalemme, che diventasse il centro religioso di Israele, e la costruzione della reggia richiesero un apporto finanziario maggiore del previsto. Ciò indusse Salomone a gravare di tasse ancor più pesanti i suoi sudditi. Questi provvedimenti suscitarono dapprima scontento e ribellione, ma, poco a poco, il ricordo delle privazioni svanì e l'età di Salomone fu ricordata come l'Età dell'Oro di Israele.
Tuttavia, se il governo energico di Davide aveva consegnato al figlio un regno saldo ed unito, quello fastoso di Salomone creò i presupposti della scissione del territorio nei due regni di Giuda e di Israele, avvenuta dopo la sua morte, che segnò la decadenza della potenza ebraica, culminata con la distruzione di Gerusalemme e la deportazione a Babilonia.

A Salomone viene attribuita la composizione del "Cantico dei Cantici", uno straordinario canto d'amore su cui si concentrò, durante il Medioevo, l'esegesi e la meditazione dei maggiori mistici, che lo interpretarono come la prefigurazione dell'amore sponsale di Cristo per la Chiesa.

Pd. X, 109-114
La quinta luce, ch'è tra noi più bella,
spira di tale amor, che tutto 'l mondo
là giù ne gola
(è goloso) di saper novella:
entro v'è l'alta mente u' sì profondo
saver fu messo, che, se 'l vero è vero
a veder tanto non surse il secondo.

(non nacque mai un altro così sapiente)

I versi danteschi sono la traduzione quasi letterale del cap. 3 del Primo Libro dei Re: "Ecco ti concedo un cuore saggio e intelligente: come te non ci fu alcuno prima di te nè sorgerà dopo di te." (1 Re 3, 12)

La sapienza che Salomone aveva chiesto non era una sapienza assoluta, ma la "regal prudenza" (Pd. XIII, 104), una sapienza strettamente legata al suo essere re ed ai doveri di discernimento e giudizio che quel ruolo comportava.
La lunga dissertazione sulla natura della sapienza di Salomone (Pd. XII, 34-111) non è esercitazione retorica o parentesi dotta nell'economia della narrazione del Paradiso.
Essa consente a Dante di prendere posizione su una questione per lui fondamentale.
Il concetto dantesco di sapienza, infatti, non si ferma alla sapienza intellettuale: viene esaltata in Salomone una sapienza che si volge ai fatti, un saper agire che è in concreta ed efficace sintonia con il pensiero divino, indagato dalla teologia, e le leggi della natura e dell'uomo, indagate dalle scienze e dalla letteratura.