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BRUTO Inf. XXXIV, 64
cit. Pd. VI, 74
Cerchio 9 - Zona 4 - Tolomea - Traditori delle due autorità provvidenziali, l'Impero e la Chiesa

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Marco Giunio Bruto (85 - 42 a.C.) era il figlio adottivo di Giulio Cesare.
Nel tentativo di restaurare il regime repubblicano, capeggiò insieme a Cassio la congiura che portò alla morte del dittatore. Sconfitto a Filippi da Ottaviano, si uccise.
Questa sconfitta è ricordata da Giustiniano (Pd.), quando, nel cielo di Mercurio, traccia la storia provvidenziale dell'aquila imperiale.

Dante, nonostante la riprovazione morale, offre di Bruto una rappresentazione ricca di dignità e di fortezza: Bruto sopporta muto le sofferenze a cui è sottoposto, ("vedi come si storce, e non fa motto!"), dimostrando quel carattere fermo e deciso, tramandatoci dagli autori della tradizione antica.

"L'obbedienza a Chiesa e a Impero, nell'ambito delle rispettive giurisdizioni, è alla base del sistema politico-morale di Dante, sicchè ben si comprende come a coloro che direttamente si sottrassero a essa il poeta riserbi il luogo più basso del suo Inferno; cioè consideri massimo il loro peccato. Essi non sono traditori solo di uomini, ma di basilari doveri umani" (U. Bosco, Commento pag.501).